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Save Humanism and Human World - by Ajith Rohan J.T.F.

Towards a Complementary Humanism    Common Objective   "Save humanity and the human world." By "human world," we refer t...

Tuesday, 9 December 2008

L'UOMO è AVENTE LOGOS














SOMMARIO: TESI DI DOTTORATO IN FILOSOFIA TEORETICA - 2008
L’uomo è avente logos. Questa definizione dell’uomo viene sotto l’egida del concetto di catalisis, che, a sua volta, vibra solo sui piani complementari e le sinergie del pensiero umano. La sua vita inizia “con” e “a partire” dal logos. Egli “vive” nella “casa del linguaggio” e nell’attività della comprensione di sé, dell’altro e della natura completa, ma è perfezionabile ontologicamente. Così, l’avente logos per natura, «non può non comunicare». Il pensiero umano, secondo la nostra ricerca, è ricorsivo (ricava le partenze dalla propria temporalità salvo le atre possibilità come per esempio la mistica) ed ha cinque qualità: la matematica, la dialettica, la logica, la retorica e l’ermeneutica. Queste qualità a loro volta scaturiscono dal logos umano, grazie al suo sfondo di matematicità e di linguisticità. Allora, il pensiero umano è logos umano. Abbiamo riscoperto la validità, dell’unità sia dell’uomo sia del pensiero, quindi, non c’è una regina delle scienze, ossia una scienza delle scienze, che garantisce la conoscenza della verità, invece, solo nell’unità, comprendiamo la verità. Per natura l’avente logos, è l’unico essere pensante con una bipolarità. Nello stesso tempo comunicante, partendo da sé con una bipolarità peculiare. Noi affermiamo che, se l’uomo «non può non comunicare» egli «non può non pensare». Allora, nell’unità del pensiero, ove troviamo la complementarietà tra le cinque qualità e la loro sinergia per la ricerca della verità queste si esprimono nella retorica e nell’ermeneutica.

L’originalità della ricerca accademica
(esiti della ricerca)
  1. La scoperta della validità del concetto di la catalisis per la filosofia.  
  2. Una definizione nuova dell’uomo sulla base del concetto di logos: l’uomo è avente logos.
  3. Individuazione oltre a quella caratteristica del pensiero già individuato da Gadamer, abbiamo scoperto insieme la complementarietà tra la matematicità e la linguisticità del pensiero umano. 
  4. Individuare cinque qualità del pensiero: la matematica, la dialettica, la logica, la retorica e l’ermeneutica, in una situazione unitaria del pensiero che a sua volta esige la collaborazione tra le qualità nell’individuare qualsiasi concetto matematico o linguistico.
  5. Le cinque qualità del pensiero sono le catalisis ed allo stesso tempo sono catalizzatori del pensiero. Dunque, anche se le comprendiamo come le discipline scientifiche in questa forma e nello studio scientifico non hanno gli oggetti specifici se non essere catalizzatori. Le abbiamo trattato in ambedue modi per poi comprendere il valore sia come a livello catalitico sia a livello disciplinare l’importanza e indispensabile carattere per la ricerca della verità.
  6. In questo modo abbiamo individuato la ricorsività del pensiero umano a non solo alla propria temporalità ma anche al “non detto”, e a “non ancora”. Questa è diversa da quella ricorsività che si può ricavare dal pensiero di Wittgenstein e dal corrente di pensiero linguismo.       
 
Sintesi della tesi
Nel primo capitolo(L’uomo e la comunicazione) abbiamo costruito un’antropologia ontologica e fenomenologica. Dalla nostra visione del mondo l’uomo viene visto dialetticamente, cioè l’unità e la diversità intrinseca ed estrinseca nelle relazioni. La sua origine viene vista tramite il concetto di logos. Così abbiamo formulato una definizione coerente a questa natura, cioè l’uomo è avente logos. Egli inoltre «non può non comunicare» dunque «non può non pensare». La sua semplice presenza è già in relazione e in comunicazione.
Nel secondo capitolo(L’avente logos e lo sfondo dell’esistenza) abbiamo cercato di comprendere la base dell’esistenza, cioè, la relazionalità. Così abbiamo presentato la relazione tra la vita, la retorica e l’ermeneutica. soprattutto abbiamo visto la nostra esistenza come un insieme di comunicazioni, cioè il concetto di comunicazione uni direzionale e relazionale e già la possiamo intendere come l’esistenza stessa in senso generale. La comunicazione nella sua ultima analisi si può verificare nella retorica e nell’ermeneutica. La vita relazionale secondo la nostra ricerca esige la saggezza pratica, che non va intesa con una mentalità relativista, ma sempre  con la mentalità unitaria.   
Nel terzo capitolo abbiamo trattato il problema dello sfondo del pensiero dell’ avente logos(Lo sfondo mosaico del pensiero umano). Lo sfondo innanzitutto è formato dalla matematicità e dalla linguisticità. Su questo galleggiano le cinque qualità individuate, cioè, la matematica, la dialettica, la logica, la retorica e l’ermeneutica.
Nel quarto capitolo(La conoscenza della verità e la vita umana) abbiamo trattato il nesso tra la vita e la conoscenza della verità. Nel quadro abbiamo disegnato la vita umana che già esige la conoscenza, dunque, dire vita è sinonimo dire conoscenza per l’avente logos.
Nel quinto capitolo(la complementarietà e la sinergia del pensiero), che è anche la conclusione aperta della nostra ricerca, abbiamo trattato il problema della complementarietà e la sinergia nell’unità dell’uomo, nel pensiero, cioè nella vita. In questo modo abbiamo visto che la complementarità tra la retorica e l’ermeneutica come abbiamo detto nel II capitolo, possono essere definiti gli elementi costitutivi della comunicazione nella vita quotidiana. Sono due modalità immediatamente verificabili in qualsiasi relazione partendo dagli elementari ai quelli complessi. Come dice Eliot che la retorica e l’ermeneutica implicano un dialogo cosciente[1]. In altre parole, sono immediatamente legati alla ricerca della verità.


[1] Cfr. Eliot T. S., Retorica e teatro di poesia, in Sacred Wood, trad. ita. P. 108.


INDICE DELLA TESI
Introduzione ... pagina 1
Conclusione.
Bibliografia

Monday, 19 May 2008

IL MONACO BUDDHISTA NAGARJUNA E IL CONCETTO DI “SUNYATHA”





Ajith Rohan J. T. F.

Nagarjuna nella sua reinterpretazione sistematica della dottrina di Buddha nella sua opera principale, Madhamakakarikas, probabilmente non per un errore ma consapevolmente individua il “Sunyatha”. Nagarjuna sostiene la presenza della materia come l’energia che nasce e che dura solo "un attimo" (kshna) come una frazione di pensiero. Così la causalità è un fattore dei momenti che accompagnano uno che nasce dopo, vale a dire se A è la causa di B, dunque, se c’è B, ci sono le regole e gli effetti dell’esperienza del A in B. la logica di Buddha (chatuskoti) che procede con quattro premesse; vale a dire: io non dico che quella visione sia vera; non dico che sia falsa; non dico nemmeno che sia vera e sia falsa allo stesso tempo; e non nego ne che sia prima ne che sia seconda(cioè tutto è possibile). Su questo punto ricordiamo la logica della possibilità, di Aristotele che, da questo tipo di pensare, può escludere sia l’impossibile sia il necessario.

Or dunque, se come abbiamo detto pocanzi le cose appaiono solo "un attimo" e cambiano subito, poi seguendo la causalità, un effetto, se porta l’effetto della causa con sé, vi è qualcosa che possiamo intendere come qualcosa che si può esperimentare almeno nel pensiero, vale a dire una possibile sensazione permanente. Ma quando Buddha dice che non vi è nessun fenomeno eterno, sembra che affermi le cose finite esistono. Se le cose finite sono già, nulla può nascere o morire. Non c’è nemmeno la causa e l’effetto. Così, non avendo nemmeno un sé che lo intende, gli oggetti non possono essere. Tutto ciò che è, semplicemente è un’apparenza. Così Nagarjuna sembra che proceda col filo del pensiero nichilista, ma poi quando il monaco dice di non avere nessuna dottrina o visione propria, intende che lui era intressato solo "argomentare per argomentare". Allora, se tutto è “sunya” non nega quello che ha detto prima, dunque, quell’apparenza dovrebbe avere una sua natura nel sentire: o bene o male, dunque tutte è due sono possibili. Ora possiamo comprendere che il “Sunyatha” non è un vuoto in Nagarjuna ma è un termine tecnico, che a sua volta, può essere malinteso e mal guidato il lettore; d’altra parte, secondo il nostro avviso, questo lo possiamo per ora chiamare con il termine aristotelico “potenza”, dunque, “Sunyatha” ossia vuoto non è un vuoto, ma è una possibilità proprio un uomo che devorebbe dare. Così possiamo capire come si può sentire, il piacere, il dolore, il bene, il male ecc. delle cose che sembrano di non esistere. Non sono gli stati psichici che uno può ridurre anche alle malattie così come nessuno può nemmeno può avere questa possibilità, e secondo noi, sono possibili della realtà che il pensiero sente proprio per la sua natura: progresso per continuum all’infinito. Allora sono reali[1]. Dunque, ora possiamo comprendere come è nato lo zero; mettendo in un movimento la cui velocità è calcolabile, esso rappresenta l’assenza pensabile e rappresentabile che a sua volta è indispensabile per il pensiero umano. Senza questa capacità noi non possiamo pensare. L’importanza del monaco Nagarjuna sta nel mettere in rilievo quest’aspetto naturale del pensiero umano. Ma in India in quel epoca è accaduto ben altro; cioè, il buddhismo viene abbandonato e l'India viene ripristinata secondo i principi pre-ariana e post-ariana o Vedica, vale a dire, l'India diventa di nuovo Indù (non in senso come noi oggi lo intendiamo ma alla base dei testi Veda). 

Inoltre il termine in lingua Sanskrito “Sunyatha” non è un sinonimo dei termini in lingua inglese “emptiness” or in lingua italiana “nulla or vuoto” ma ha un significato di “possibile essere”. Allora così, il termine “Sunyatha” non è nichilistica[2]. Se l’esistenza dei fenomeni dipendono da altri fenomeni, che sono a loro volta, vuoti, e dipendono dalla relazione, comunicazione, ciò vuoldire che le cose non esistono per sé stessi, in modo auto sufficiente, invece quel modo di “Sunyatha” è tutto il contrario dei fenomeni.

Una possibile conclusione

Su queste relazioni, Von Neumann dice che i numeri:« could be bootstrapped out of the empty set by the operations of the mind». La mente umana è capace di osservare questi «gruppi vuoti» e così anche un’altro «gruppo vuoto» e così via. In questo modo il gruppo vuoto non è più vuoto ma è «“non-cosa”». Ora credo che possiamo applicare questo ai numeri partendo da zero o finire con lo zero. Cioè, se “Sunyatha” è lo zero, un gruppo vuoto che a sua volta è riempito da «“non cosa”» diventa numero uno e così via; così comprendiamo il legame tra il numero vuoto e la “cosalità”. Alla fine sembra che tutto ciò nasce da un gioco della mente con il sentire il vuoto in modo astratto possibile. Così un mondo dei numeri platonici è impossibile, ma un mondo delle relazioni tra la mente e qualcosa che va oltre la mente da cui nascono i numeri ed i simboli è possibile. Ma questa originalità e genialità di costruire i numeri senza riferimento agli oggetti è una capacità della mente propria dell’uomo.


[1] Dobbiamo ricordare che con questa interpretazione di monaco Nagarjuna non annichilisce o non nega la dottrina di Buddha , anzi la riafferma con una dialettica diversa, portandola, secondo noi, a due punti: un etica che riafferma la vita contemplativa e la vita semplice senza attaccamenti, e l’altro è un piano più produttivo e innovativo dalla cui pensiero, scaturisce lo sviluppo della materia. Il secondo è quello che deriva dal suo pensiero e non come qualcosa di diretto. Su questo punto possiamo riprendere lo zero e lo sviluppo del pensiero umano fino ad oggi.

[2] Cfr. Loy David, Buddha of the North, Swedenborg Foundation, West Chester Pennsylvania 1996, p. 104.

Sunday, 2 March 2008

IL NESSO TRA LA LIBERTA E L'AMORE



Ajith Rohan JTF


INTRODUZIONE

La risposta alla domanda cos’è la libertà, secondo noi è questa: è la comprensione della vera realtà propria e delle cose che li circondano, del mondo e dell’universo. Or dunque, possiamo formulare anche una definizione negativa della libertà; la libertà non è quel modo aggressivo di voler fare tutto ciò che passa per il cervello, ciò che capricciosamente uno crede di realizzare, spinto dalla paura, dalla concupiscenza, dall’ignoranza della vera realtà. Inoltre possiamo affermare che la libertà non è una reazione. Spieghiamo; se io dimostro la mia rabbia verso colui che mi ha umiliato, insultato, mi ha ferito o tradito è una reazione, che a sua volta scaturisce a causa dei  legami, immagini, quindi per causa delle illusioni. Queste illusioni nascono a loro volta per mancanza della vera comprensione della verità, ossia della vera natura del proprio essere e dei fenomeni. Allora, la libertà non è una reazione.

 

Il nesso tra amore e libertà

Quanto abbiamo detto per quanto concerne la libertà, crediamo che sia chiaro; ora vediamo cos’è questo atto di amare. Applichiamo il concetto di reazione per comprendere cosa sia l’amore; dunque, se uno ama qualcuno o qualcuna per ricevere l’amore e tutto quello che è legato ad essa, non vi è qualcosa che si possa individuare che a sua volta assomigli alla libertà, invece è una reazione. Questo tipo di “falso amore”, scaturisce dall’ignoranza, quindi, dall’odio, dall’egoismo, dall’invidia ed è influenzato dalla concupiscenza. Allora questo “falso amore” è un covo di assassini che è pronto a distruggere ed annientare ciò che ama.

Dunque, se uno non è libero, non può amare, ma distrugge tutto quello che è, e quello che circonda. Ora siamo giunti ad affermare che l’amore non è una reazione, come, per esempio qualcosa che si possa comprare come un kilo di carne suina dal macellaio, o un pollo in cambio di denaro. Allora, se l’amore è qualcosa che uno deve ricevere da un altro/altra; finché riceve, sente il desiderio di darla a sua volta, e appena ne sente la mancanza è per lui/lei un tradimento. Così il “falso amore” viene cambiato in forma di odio e rancore perché si sento umiliato, tradito e cerco di reagire in quanto è possibile con la violenza. Solo così solo sente soddisfatto. Questo, non è amore. Ma osservando la famiglia, la comunità di cui uno fa parte, della città, della scuola, dell’università, della chiesa, del tempio ecc. si trova dominato da questo falso amore. Allora, questa società è malata. È schiava, non è libera, non sa amare, ma come abbiamo già detto è un covo di assassini che distruggano ciò che amano(illudendo). Allora, possiamo così comprendere il nesso tra la libertà e l’amore; questi a sua volta diventano i binari indispensabile della vita.

La società

La società è composta di esseri umani; più precisamente dai rapporti umani. Allora, se i membri di una società sono contaminati da quel falso amore e falsa libertà, i rapporti sono naturalmente falsi, utilitaristici; “se tu mi gratti il mio deretano, te lo gratto anch’io”. Sono i rapporti del mercato, anzi è tipo di quel usurario Shylock, nel «Mercante di Venezia[1]» che aveva l’intenzione di distruggere il suo cliente, Antonio in cambio chiedendo una libbra della carne di Antonio. Però, Porzia con la sua astuzia, come mette in scena Shakespeare, Shylock viene chiesto di non versare nemmeno una goccia di sangue del corpo del suo odiato cliente. Così lui ha guadagnato solo dispiacere. I membri di una società malata hanno bisogno, anzi sono le vittime di quel bisogno primordiale della conservazione e della sopravvivenza. Perciò sappiamo che l’uomo, come ben dice Konrad Lorenz[2], per mancanza di inibizione naturale[3], uccide anche colui che gli chiede pietà, gli innocenti e i bambini. È in continua ricerca di onori, di posizioni sociale, di potere, di denaro e di comando. Vediamo in modo adamantino che coloro che lottano per la “falsa libertà”, una volta raggiunta la meta, quindi, quando uno ottiene il comando, non riconosce più la libertà degli altri, anzi diventa un tiranno travestito di democrazia. Lui/lei esige l’obbedienza dagli altri finché, non ci sia al di sopra di lui/lei un altro che richiede l’obbedienza; ma, appena trova qualcuno che lo minaccia, comincia a balbettare come un morto dalla cui gola sgorga i liquidi consumati dai parasiti, la parola “libertà”. Di nuovo la lotta per la libertà con i polli che credono in questo lupo assetato di sangue innocente. Appena (se per fortuna viene risparmiato dall’oppositore) riprende il comando, riprende la veste del tiranno travestito di democrazia.

 

Formazione ed Educazione

Quale formazione o educazione possiamo sperare da una società malata che non è libera e non sa amare. I genitori, i parenti, gli amici, coloro che guidano la coscienza morale, i libri, insegnanti, professori ecc.  che sono i frutti e membri di quella società malata come possono educare gli innocenti alla ragione, all’amore quindi alla libertà? Le persone geniali vengono utilizzati da questa società malata come strumenti che soddisfano le loro esigenze. Ma appena uno prende coscienza del suo stato di malato, la società comincia a reagire, quindi, o lui/lei deve riprendere a vivere da malato/malata se no viene annientato, poco a poco, provando piacere dal dolore dell’altro, in modo brutale. Allora, in una società malata, non vi è qualcosa che si possa chiamare etica o educazione alla ragione, all’amore e alla libertà. Possiamo trovare solo nelle famiglie negli istituti privati e pubblici i sistemi di allevamento; sì, proprio come i polli, i maiali, le mucche, le vacche, i tori, i vitelli tacchini ecc. e mai può trovare le persone liberi.                  

 (PER LEGGERE IL RESTO DELL'ARTICOLO INVIARE UN E-MAIL: ajithrohanjtf@gmail.com)


[1]Cfr. Shakespeare William, The Merchant of Venice.   

[2] Cfr. Konrad Lorenz, Das sogenannte Böse, G. Borotha –Schoeller Verlag, Wein 1963.

[3] Questa mancanza naturale dell’uomo, viene riempita, sostituita da Gesù Cristo. Egli dice di vedere nell’altro la presenza di Dio, ossia il Padre Creatore di tutti. Allora, in questo modo Gesù dice di amare l’altro come sé stesso. Questa cultura dell’amore, però non è un impostazione da parte del Divino, ma sempre rispettando la libertà dell’uomo viene insegnato, tramandato per essere scelto dagli esseri liberi.